Storia, natura, cultura da Roma a Santa Maria di Leuca:
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Via Francigena nel Sud. Il punto da focalizzare, introducendo questo terzo numero di Meridiani Cammini dedicato a quella che è, con Santiago, uno dei più celebri itinerari della viandanza, sta nella preposizione che la definisce.
Nel del Sud, come fino a ora è stata definita, marcando un’appartenenza che però rimarca l’esclusione, la separazione (un qualcosa che riguarda il Sud, una sorta di «Questione Meridionale» rivista e aggiornata). Il nel scelto dall’Associazione Europea delle Vie Francigene (e ratificato dal Consiglio d’Europa nel novembre 2020) per definire questo ultimo tratto di 900 km della direttrice che collegava Canterbury con i porti di imbarco per la Terrasanta posti sulla costa pugliese, spiega tutto il significato che questo Cammino porta con sé. Da un lato, ribadire il valore unitario della Via Francigena, che deve essere considerata un continuum culturale e storico, non solo una sequenza di tappe geograficamente distribuite. L’aver testardamente voluto portare nell’alveo di questa storia anche «l’ultimo tratto» di tracciato supera quella dicotomia Nord-Sud rispetto alla quale si potrebbe dire che fin dalla (cosiddetta) Unità d’Italia né la politica, né l’economia, né la cultura è riuscita davvero a fare passi in avanti. Quel «fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani» è rimasta una bella frase da libri di storia, ma poi non ha mai fatto presa né tra gli italiani, né rispetto all’Italia intesa come insieme di territori e comunità. È una follia immaginare che sia proprio un cammino a far fare un passo avanti a questa situazione in stallo e ormai impolverata dalla retorica? Segnali ce ne sono. Primo, l’impegno e la capacità di collaborazione istituzionale tra i soggetti regionali coinvolti dal percorso – e quindi dalla valorizzazione della Via Francigena nel Sud: Regione Lazio, Campania, Puglia, ma anche Basilicata e Molise (coinvolte per delle varianti storiche del percorso) si sono impegnate in uno sforzo comune e fattivo, comprendendo il valore anche economico, oltre che culturale, di un cammino storico e dei benefici che può portare alle comunità di territori in buona parte estranei alle principali direttrici del turismo. Le Regioni meridionali coinvolte hanno messo in campo un metodo di lavoro cooperativo mirato a uno specifico progetto che può fare da buona pratica di riferimento anche per altri ambiti di lavoro interregionali. Secondo, la capacità di attivazione dimostrata dagli stessi territori: lungo il percorso si stanno attivando con entusiasmo quei Comitati di comunità che sono loro la vera anima del Cammino: impegnati nella cura dei singoli tratti di percorso, a partire dalla manutenzione del tracciato e della segnaletica, ma anche nella strutturazione dei servizi per i camminatori-pellegrini. Un circolo virtuoso e sostenibile che promette di avere un bel futuro.