Tra Ravenna e Firenze sulle tracce del Sommo Poeta
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«O voi ch’avete li ’ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ’l velame de li versi strani». Anziché celebrarlo come la caricatura commerciale che vediamo in libreria, si potrebbe partire da questo passo dell’Inferno (IX, 61-63) per tornare verso Dante.
Questi versi infatti permettono di vederlo per quello che fu davvero: un poeta, un politico, un teologo, ma prima di tutto un viandante o meglio un iniziato. Non tanto perché in tutta la sua vita Dante fu in cammino, tormentato da implacabili nemici esterni e da quello più insidioso perché interno. E nemmeno perché la Divina Commedia è in fondo un incredibile cammino che attraversa i tre regni dell’aldilà (a piedi). No. Partire da questi versi, come fece nel 1925 in un mirabile libro il critico francese René Guénon, permette di osservare il cammino di Dante sotto un’altra luce, che lo illumina come un percorso di elevazione esoterica. Tra le tante dimensioni che appartennero all’Alighieri, infatti, si dimentica che molti lo considerano un iniziato dell’Ordine dei Fedeli d’Amore, una delle tante sette sorte nel fervore suscitato dalla corruzione della Chiesa fra i secoli XIII e XIV. Fra queste ci furono i Catari, i Francescani, i Valdesi e i più riservati Templari, a cui i misteriosi Fedeli d’Amore si avvicinavano. Come l’amico e poeta Guido Cavalcanti, anche Dante sarebbe stato un alto grado della gerarchia dei Fedeli e con la Commedia avrebbe voluto lasciare un messaggio dottrinale, nascondendo al di sotto delle descrizioni di eventi, luoghi e personaggi reali simbologie e parallelismi esoterici che formano un cammino. In questa luce l’Inferno appare come ricapitolazione degli stati che precedono lo stato umano e manifestazione delle possibilità di ordine inferiore che l’uomo ha in sé. Il Purgatorio rappresenta il prolungamento dello stato umano e il Paradiso è l’ascesa agli stati superiori dell’essere. Mentre il «mezzo del cammin di nostra vita» è per Guénon l’occasione di una magistrale spiegazione del “centro” secondo un simbolismo che si riflette con perfetta simmetria nel tempo e nello spazio, nella dottrina dei cicli cosmici basata sulla precessione degli equinozi e nella struttura tripartita dell’universo dantesco. Questa lettura, di Dante e del suo famoso cammino, spiegherebbe perché il numero tre compare di continuo nella Commedia, perché ha una grande importanza nel percorso iniziatico. Tre infatti sono le virtù teologiche (Fede, Speranza e Carità), tre i principi massonici Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, tre gli elementi alchemici (Zolfo, Mercurio e Sale), tre i passaggi di stato della materia (Nigredo, Albedo, Rubedo) che secondo il pensiero alchemico sono necessari per creare la “Grande Opera”. Settecentocinquanta anni dopo l’enigma di Dante resta inviolato. Avrà davvero voluto regalarci una chiave cifrata per raggiungere l’illuminazione? O esprimere l’amore perduto, l’esilio ingiusto, la virtù civile, la nostalgia dell’essere? Per provare a rispondere c’è solo un modo: tornare sui suoi passi. Mettersi in cammino con Dante e attraversare i suoi luoghi, che lo videro passare e dove ancora c’è l’eco del suo mondo. Un mondo che basta un paio di scarpe comode per risvegliare dentro di noi.